Il Codice ombra del Tempio

Francesco D’ Errico

Il processo intentato da Filippo il Bello, Re di Francia, contro i Templari, nasceva dalla “necessità per il Re di sbarazzarsi di quello che era ormai diventato uno Stato nello Stato.

Per far ciò gli avvocati regi provvidero a raccogliere  tante voci ed illazioni, sparse ad arte, componendole in un mosaico terribile comprendente crimini immondi per l’epoca, quali l’eresia, la corruzione e l’omosessualità.

Questo attacco nacque in un primo momento contro i Dignitari del Tempio ma  ben presto si trasformò in un attacco all’intero Ordine, anche al fine di impossessarsi degli immensi beni dell’Ordine stesso.

In effetti i Templari dell’epoca di Filippo il Bello, erano ormai qualcosa di profondamente diverso da quelli che erano i desiderata del fondatore,  Hugues De Payns.

Quei Cavalieri non possedevano una sede fissa, vestivano con i panni che la popolazione donava loro in elemosina, ed avevano come regole fondamentali “povertà e penitenza”.

Povertà che non era intesa solo come materiale privazione dei propri beni ma soprattutto come “umiltà, come stile di vita completamente diverso da quello tenuto fuori dall’Ordine.

Questo almeno fino alla istituzionalizzazione del Tempio, avvenuta con il Concilio di Troyes del 1129.

A Troyes, Hugues De Payns, aveva esposto al Concilio le consuetudini della Sua confraternita”, affinché venissero valutate, decidendo quali scartare e quali mantenere nella nuova “Regola”.

Queste regole saranno successivamente magistralmente codificate da San Bernardo di Chiaravalle che, individuò un “modello templare”, un nuovo status di vita per questi monaci guerrieri.

Per San Bernardo doveva trattarsi di un ceppo di combattenti elitario, padroni del mestiere delle armi e già esperti cavalieri / militari, immediatamente utili alla causa per il quale il tempio era stato creato.

La vita religiosa e amministrativa dell’Ordine, in effetti,  era improntata al rispetto di circa 70 norme che, appunto, ne costituivano la “Regola”.

A queste regole primitive vennero progressivamente aggiunte altre disposizioni che disciplinavano minuziosamente la vita dell’Ordine .

I Templari acquisirono anche una grande esperienza diplomatica, fondamentale per una forzata convivenza in Terra Santa,  con i diversi Emiri islamici.

Anche queste “relazioni politiche” saranno usate da Filippo il Bello per denunciare la conversione”  e l’accondiscendenza all’Islam di molti Templari nel periodo dell’inchiesta.

Era inoltre noto a tutti che gli islamici torturavano i prigionieri per indurli a rinnegare Cristo”, “sputare sulla Croce”, e “convertirsi all’Islam”.

Anche e soprattutto questi aspetti saranno in seguito utilizzati da Filippo il Bello, nei suoi atti di accusa, poiché, come vedremo, furono utilizzati per spiegare l’inquietante rito imposto ai frati subito dopo la cerimonia di ammissione.                                                       

Con il passare del tempo le mutate condizioni storiche della Terra Santa, ormai in mano all’Islam, avevano consentito al Tempio di valorizzare e potenziare il settore economico / finanziario, divenendo sostanzialmente la banca dei Papi  e di diversi sovrani e stabilendo il proprio quartier generale proprio a Parigi.

Nel frattempo, negli ultimi anni del duecento, precisamente nel 1291, veniva eletto Gran Maestro del Tempio, Jacques De Molay, il quale denunciò, da subito, anzi da prima della Sua elezione, certi fenomeni di malcostume che si erano diffusi tra le usanze templari, esortando gli altri dirigenti / dignitari a prendere provvedimenti prima che simili comportamenti potessero causare seri problemi all’Ordine.

In effetti si vociferava da tempo di certi strani costumi dell’Ordine, come le profonde  umiliazioni che erano costretti a subire i giovani novellini,  da parte dei più anziani,  con il vincolo  oltretutto  del duplice segreto, religioso e militare .

Su questi ed altri aspetti stavano già lavorando gli Avvocati del Re, che stavano raccogliendo e confezionando un corposo dossier.

La Francia, in quel periodo, precisamente nel 1306, fu scossa anche da una importante sommossa popolare dovuta alla inflazione” a cui era dovuto ricorrere Filippo Il Bello, che aveva ridotto di due terzi il contenuto aureo della moneta al fine di finanziare la guerra contro il sovrano inglese.

Durante la sommossa il Re si rese conto che la Sua unica salvezza era il tesoro custodito dai templari nella torre di Parigi presso cui si era rifugiato.

Filippo il Bello, in effetti pretese ed ottenne dal tesoriere dei templari, Jean de la Tour,  l’enorme prestito di 300.000 fiorini, il tutto avvenne durante l’assenza da Parigi  del Gran Maestro, impegnato a Cipro.

Agli inizi del 1307, Jacques De Molay rientrò a Parigi e si accorse dell’enorme ammanco, l’episodio contribuì, come vedremo,  notevolmente ad inasprire i rapporti tra il Tempio e la corona.

Nel frattempo De Molay fu convocato dal Papa, nel Marzo 1307, per dare spiegazioni sui comportamenti dei templari che avevano dato sfogo a tante dicerie, in quella occasione Clemente V pretese che venisse consegnata, presso la Curia, una copia scritta della Regola dell’Ordine.

 Il Papa fino a quel momento non aveva dato peso alle scurrili usanze da caserma che vigevano tra i Templari, ora però le insinuazioni del Re toccavano punti essenziali della stessa religione e, di fronte alla accusa di eresia, non si potevano più  tralasciare queste voci come meri pettegolezzi.

La strategia regia, inoltre, continuava ad operare e perfino 12 spie furono incaricate di entrare nell’ordine, per relazionare dall’interno su usi e costumi dei monaci guerrieri.

Questa inchiesta sotterranea si estese fino a tutta la primavera del 1307 ed all’estate dello stesso anno.

Il Papa, a questo punto, scrisse al Re, al fine di tranquillizzarlo preannunciandogli   una inchiesta ecclesiastica, interna, sollecitata anche dallo stesso Gran Maestro dell’Ordine, al fine di smentire tutte le calunnie in circolazione.

L’inchiesta pontificia si sarebbe dovuta tenere non prima della metà di Ottobre del 1307 a causa delle condizioni di salute del Pontefice.

Quest’ultima circostanza, però,  fece  considerare  agli avvocati del Re, che era il momento giusto per far scattare la trappola contro l’Ordine.

Il 22 Settembre del 1307 l’Inquisitore di Francia scrisse segretamente una lettera ai suoi subordinati preannunciando l’arresto dei membri del’Ordine Templare.

Dopo anni di lavoro e di attività di spionaggio il dossier contro i Templari era ormai pronto e si rivelerà una trappola micidiale.

Ma quali erano questi fenomeni di malcostume che De Molay aveva già denunciato durante il Capitolo di Cipro del 1291 ? si trattava sicuramente di tradizioni segrete, tramandate oralmente, senza niente di scritto.

Del resto lo stesso San Bernardo nel redigere la “Regola” aveva inserito una clausola con cui esortava i capi dell’Ordine a verificare le vocazioni sottoponendo i candidati ad una prova” non meglio specificata .

Questo “experimentum” a cui fa riferimento il Frate sarebbe servito a verificare se il novizio fosse all’altezza dell’elevatissimo codice d’onore del tempio.

Tra i punti fondamentali di tale Codice vi era l’obbedienza assoluta ai propri superiori.

Questa obbedienza era da intendersi come capacità di rinunciare al proprio libero arbitrio per mettersi completamente nelle mani del proprio superiore.

Una simile capacità di abnegazione richiedeva ovviamente un opportuno “condizionamento psicologico”.

 In effetti, dopo la cerimonia codificata” o regolamentata” si apriva una ulteriore appendice non scritta ma da tutti ritenuta indispensabile.

Il nuovo templare veniva portato in un luogo appartato, lontano da occhi indiscreti e qui il Precettore gli “ordinava di rinnegare Cristo e sputare sulla Croce”.

Di Fronte al suo logico rifiuto, al novizio veniva ricordato di “aver giurato di obbedire a qualsiasi comando” .

A questo punto la maggioranza dei nuovi frati si rassegnava a fare quanto comandato e chi ancora rifiutava veniva comunque costretto a farlo, anche con le minacce.

A questo punto il Precettore gli dava il “bacio della fratellanza” sulla bocca ed altri due baci, uno sull’ombelico ed uno sulla parte finale della schiena, a volte sulle natiche.

Infine il Precettore invitava il nuovo Frate a non avere rapporti con le donne , al fine di mantenere il voto di castità, invitandolo, se proprio non poteva vivere castamente ad “unirsi con i suoi confratelli”.

Questo precetto, definito dell’omosessualità, non aveva in effetti alcuna applicazione concreta, si trattava in sostanza di ascoltare in silenzio le parole del precettore  e di dare prova di assoluta sottomissione.

Alla fine di questa “appendice il novello Templare era invitato a recarsi presso il cappellano Templare per confessare le colpe appena commesse e ricevere l’assoluzione.

Lo scopo di  questa cerimonia era quello di creare uno choc sul novellino sia per verificare la sua reazione sia per metterlo in guardia su quello che facevano i saraceni ai prigionieri.

La cerimonia serviva anche a valutare lo stato d’animo e l’atteggiamento del novizio.

Se dimostrava coraggio, fierezza, determinazione ed autocontrollo sarebbe stato destinato ad un ruolo operativo e ad una carriera di comando.

Al Contrario se mostrava un atteggiamento pavido, obbediente o eccessivamente sfrontato avrebbe destinato il soggetto a mansioni diverse e non operative.   

La natura di questo rituale era quella di una “pantomima recitata su di un copione fisso”, su cui nel tempo si erano aggiunti elementi “da caserma”, come il bacio sul sedere, un vero e proprio atto di nonnismo e l’esortazione alla omosessualità, intesa come precetto che imponeva al templare di dare tutto se stesso all’Ordine ed ai confratelli.

Di difficile collocazione sono invece le accuse che attribuivano ai Templari la “custodia e venerazione” di un idolo con la forma di una testa maschile barbuta.

Vi è da dire comunque che nessuno nella cristianità occidentale del primo trecento credeva veramente all’elaborato castello di menzogne messo in piedi dagli avvocati di Filippo il Bello e dagli inquisitori.

I capi di accusa ed i rilievi sulla cerimonia iniziatica erano, del resto, tutti manipolati, poggiando però sulla effettiva esistenza di pratiche raccolte ed ordinate in una sorta di CODICE OMBRA, con diverse varianti.

La chiave di lettura di queste pratiche poggia su due elementi in grado di darci una spiegazione logica, da una parte le prove vanno intese come una “prova di obbedienza” , dall’altra come uno “scherzo degli anziani” ai danni dei novizi.

Filippo il Bello riuscì, sostanzialmente, a trasformare consuetudini ludiche in schiaccianti prove di eresia.

Tutto ciò avvenne in un periodo in cui le ambizioni di dominio universale, anche in temporalibus del papato si scontravano con le aspirazioni del Re di Francia sulla egemonia della cristianità.

Quello che fece però incrinare definitivamente i rapporti tra il De Molay e Filippo fu come abbiamo visto,  l’enorme prestito concesso dal tesoriere centrale di Parigi, Jean de la Tour, al Sovrano di Francia.

Questo comportò la immediata espulsione dall’Ordine del tesoriere, guastando irrimediabilmente i già precari rapporti, anche se l’espulsione dall’Ordine di Jean de La Tour costituiva per De Molay semplicemente un atto dovuto in base alle rigide regole dell’Ordine.

Filippo il Bello dopo questo episodio comprese che il tempio non poteva più esser la sua tesoreria in quanto non avrebbe potuto attingere liberamente ai fondi secondo le sue necessità.

In questo contesto, come già detto, il 24 Agosto 1307, Clemente V comunicò al Sovrano di Francia che aveva intenzione di sottoporre il Tempio ad una indagine generale, sia come Istituzione religiosa sia come organismo amministrativo, sia come corpo militare.

L’inchiesta, abbiamo già visto,  era procrastinata alla seconda metà di Ottobre a causa delle condizioni di salute del Papa.

Filippo il Bello, però non aveva alcuna intenzione di aspettare e soprattutto non voleva che fosse l’inchiesta pontificia ad occuparsi della questione e il 13 Ottobre 1307, alle primi luci dell’alba, i militari del Re effettuarono l’arresto di tutti i membri dell’Ordine, contemporaneamente ed in tutta la Francia, confinandoli nelle loro commende.

Questa notizia giunse improvvisa ed inaspettata a Clemente V che ritornò precipitosamente in sede anche se da questo momento e nel giro di soli due mesi la diffamazione totale aveva colpito al cuore il più potente e prestigioso degli Ordini militari del tempo.

Jacques De Molay interrogato dall’inquisitore di Francia ammise che durante la Sua cerimonia di ingresso aveva rinnegato Cristo e sputato sulla Croce, ammettendo anche che in quelle cerimonie potevano verificarsi anche altre azioni indecenti.

Il Papa inviò immediatamente i Suoi cardinali a Parigi per interrogare i templari ed ovviamente Filippo tentò di evitarlo in tutti i modi, mettendo in atto tutte le astuzie possibili, anche se alla fine fu costretto ad acconsentire, pena la scomunica.

De Molay fu portato in Chiesa e durante l’interrogatorio si slacciò il mantello, scoprendosi il busto e le braccia per far vedere le ferite e le bruciature con cui la confessione era stata estorta.

Era chiaro che in queste condizioni non poteva esserci alcun verdetto nei confronti dei templari, prima che il papa avesse chiarito la posizione dei Frati in maniera soddisfacente e senza condizionamenti.

Le istruzioni regie per interrogare i templari descrivevano 7 colpe, quasi tutte compiute durante la cerimonia di ingresso e precisamente :

  1. Rinnegare Cristo ;
  2. Sputare sulla Croce ;
  3. Scambiarsi baci sulla parte finale della schiena e sull’ombelico ;
  4. Promettere di non negarsi ai fratelli se avessero voluto congiungersi carnalmente;
  5. Venerare un idolo a forma di testa maschile barbuta ;
  6. Indossare una cordicella in onore di quell’idolo ;
  7. Non consacrare l’Eucaristia ;

A tutte queste accuse, durante il lungo processo, durato ben sette anni, se ne aggiunsero molte altre, tutte altrettanto gravi e ripugnanti.

In ogni caso, alla fine di Giugno 1308 Clemente V poté finalmente iniziare la Sua inchiesta sul Tempio.                 

Gli interrogatori si sarebbero dovuti tenere presso la sede papale, a Poitiers, dove furono inviati, dal re, 72 templari, tutti già interrogati dall’Inquisizione.

Purtroppo i principali Dignitari del Tempio non vi giunsero mai perché furono rinchiusi, lungo la strada, nel castello regio di Chinon, adducendo che le loro condizioni di salute non consentivano la prosecuzione del faticoso viaggio.

Il Pontefice non si rassegnò ed invio a Chinon i Suoi Cardinali per interrogare anche e soprattutto i Dignitari e non solo i semplici Frati.

I Templari ebbero, finalmente , l’occasione di parlare,  di potersi difendere  e spiegare la loro vita religiosa, chiarendo che seguivano i dettami di Cristo con il cuore e con le opere.

Dagli interrogatori vennero comunque fuori molte confessioni relative ai primi quattro punti del teorema accusatorio ma, a differenza del Re, a cui bastavano le confessioni, l’inchiesta del Pontefice voleva scoprire il  perché questi gesti venivano fatti.

Anche agli avvocati del Re i templari avevano dichiarato, invano,  che quei gesti venivano fatti ore non corde” e cioè “con la bocca, non con il cuore”, spiegando che si trattava solo ed esclusivamente di fatti esteriori, indipendenti dalla Fede.

Anche con queste giustificazioni, restava comunque la gravità e la indecenza di questi gesti che, seppur fatti in buona fede dai Frati, non potevano comunque essere ignorati neanche dal Papa ed andavano quindi censurati, anche se nell’ambito di un giusto processo e non sicuramente sotto tortura.

Clemente V ed i Suoi Commissari / Cardinali, non presero nemmeno in considerazione l’ipotesi che i Templari potessero essere colpevoli di eresia, di stregoneria o di tutte le altre nefandezze di cui il Re voleva accusarli.

L’affermazione più ricorrente dei Templari, a giustificazione di simili comportamenti, era che l’osservanza di quei gesti costituiva un “dovere a cui il nuovo professo non poteva sottrarsi, specie di fronte ad un comando di questo tipo : è Tuo dovere rinnegare … ”.

Ovviamente questa pratica consuetudinaria possedeva, anche se solo a livello esteriore, una forma gravemente offensiva della dignità religiosa.

Di tutto questo, ovviamente non c’era traccia nella normativa ufficiale e cioè nella regola scritta.

Alla fine dell’inchiesta pontificia, il 2 Luglio 1308, Clemente V tenne un pubblico Concistoro in cui i templari furono assolti, dopo aver chiesto perdono e Clemente V ribadì, nell’occasione, la Sua intenzione di procedere ala stesura di una nuova regola.

Il processo e l’accusa, in questo modo si erano spostati dai singoli templari al Tempio in generale in quanto il male non stava nei singoli frati ma nella istituzione che li costringeva a compiere simili atti indegni.

Questa strategia del papa mirava a salvare i templari, che erano costretti, anche con le minacce, a rispettare i “puncta” di questa tradizione degradante.

Con l’assoluzione dei Dignitari templari prigionieri a Chinon la strategia del Papa si completava e la Bolla FACIENS MISERICORDAIM, emessa il 12 Agosto 1308, di fatto ordinava che tutti  frati templari dovevano essere sottoposti ad un procedimento giudiziario.

Secondo la Bolla il Papa riconosceva i templari colpevoli solo dei reati appurati dalla Sua inchiesta e precisamente il rinnegamento di Cristo e lo sputo sulla Croce, decretando che ogni decisione sarebbe stata presa nell’ambito di un Concilio da tenersi a Vienna nel 1310.

= NOI ABBIAMO UN CODICE – MODUS EST ORDINIS NOSTRI  =

La singolare pantomima, messa in atto subito dopo la cerimonia di ingresso nell’Ordine di un nuovo membro, è come abbiamo già visto, un rituale di iniziazione militare che si snoda e sviluppa in maniera pressoché identica secondo quattro punti nevralgici che furono sapientemente sfruttati dall’accusa :

  1. Il rinnegamento di Cristo ;
  2. Lo sputo sulla Croce ;
  3. I baci indecenti ;
  4. Lo strano culto della testa barbuta ;

Secondo il teorema accusatorio del Re l’ingresso costituiva  il fulcro della colpevolezza dei templari .

Queste cerimonie sembrano seguire tutte uno schema precostituito ed identico, tutte con la stessa trama fondamentale, quasi a ripetere un copione identico per tutti.

Colui che anelava ad entrare nel Tempio veniva avvisato che la vita nell’Ordine sarebbe stata molto dura e che avrebbe dovuto affrontare tante situazioni odiose, sopportandole anche contro la Sua volontà.

Il recettore, (in genere il Precettore della Magione), officiava la cerimonia di ingresso e chiedeva al postulante cosa fosse venuto a chiedere, il novizio rispondeva : “il pane e l’acqua, le povere vesti e la fratellanza del tempio”.

Il candidato veniva avvertito, per la seconda volta, sulla durezza nella vita nell’Ordine e sul fatto che sarebbe diventato in tutto “servo e schiavo dell’Ordine” stesso.

Il postulante, in sintesi, doveva giurare “obbedienza assoluta ai Suoi superiori”, rinunciando completamente alla Sua volontà.

A questo punto si interrompeva il parallelismo tra la cerimonia così come descritta nei codici e quello che realmente accadeva e si entrava in una specie di zona d’ombra.

Il nuovo membro veniva condotto in un luogo appartato (dietro l’altare, in una cappella attigua, in una stanza della magione), dove indossava gli abiti dell’Ordine.

A questo punto il recettore gli imponeva di rinnegare l’immagine di Cristo che gli veniva mostrata e di sputare sulla Croce.

Il recettore gli ordinava, altresì, di “baciarlo sulla bocca, sull’ombelico e sulla parte finale della schiena”.

A questi comandi veniva aggiunto che se non fosse riuscito a mantenersi casto avrebbe potuto “unirsi ai confratelli”, senza negarsi loro se richiesto.

Finita questa sequenza il nuovo Frate veniva invitato a recarsi presso il cappellano della magione per confessare ciò che aveva appena fatto e chiedere l’assoluzione dai peccati.

Non tutti i Precettori applicavano questa procedura sempre nella sua forma completa, anche se una sequenza minima era considerata indispensabile e veniva rispettata, inalterata, nella quasi totalità dei casi.

E’ bene precisare che questi atti illeciti avvenivano sempre quando il candidato era ormai entrato nell’Ordine quindi dopo l’emissione dei voti ed il giuramento sulla osservanza delle legge interna al tempio.

Lo spartiacque tra la prima fase, codificata e la seconda fase era costituito dalla consegna del mantello.

Questi atti illeciti, dunque, non costituivano il nucleo di una blasfema cerimonia di ingresso ma, si andavano ad aggiungere alla fine di un rito perfettamente lecito e regolamentato.

Questa sequenza aveva comunque un valore concreto e ritenuto necessario, tant’è che quando per un motivo importante era necessario interrompere il completamento della seconda parte la “cerimonia non si considerava terminata ma solo interrotta e rimandata.

A volte, anzi spesso,  si verificavano “cerimonie doppie nel senso che il Precettore / Dignitario compiva tutta la sequenza fino al momento della imposizione del mantello ed al bacio della fratellanza monastica, affidando poi ad un subordinato il compito di esigere gli atti sgradevoli.

Questo aspetto lascia intendere che questa seconda parte veniva considerata una seccatura” che i Dignitari cercavano di affibbiare ai subordinati.

Questo aspetto testimonia, altresì, il senso di disagio, di intima disapprovazione nutrito dai precettori verso questa seconda parte della cerimonia, in molti, in effetti, maledicevano quanti in passato avevano introdotto questa indecenza nell’Ordine.

Ovviamente solo chi si incaricava di esigere “l’inconvenientia” conosceva la reazione del novizio ed era Suo compito garantire agli altri frati che lo stesso avesse obbedito ed adempiuto.

L’esazione dei “puncta rappresentava dunque una necessità e un dovere da parte di quanti avevano il potere di conferire l’appartenenza all’Ordine, tanto che in mancanza il recettore poteva essere soggetto al rimprovero ed al biasimo degli altri confratelli.

Esisteva, comunque, una certa elasticità del recettore nel modo di imporre l’esazione dei puncta, anche e soprattutto, tenuto conto della potenziale fragilità  psicologica del soggetto o della Sua età.

Questa seconda parte della cerimonia, in sostanza, è un momento di prova per il novizio, soggetto ad un traumatico esame psicologico, che sebbene considerato ripugnante  dai precettori, era comunque indispensabile per la Sua  formazione.

Si trattava comunque di fenomeni estranei alla codificazione scritta, paragonabili per certi aspetti agli atti di nonnismo” contemporanei.

Spesso i Precettori, consapevoli della ripugnanza delle richieste, tranquillizzavano il nuovo Frate rassicurandolo sul fatto che si trattava solo di una semplice finzione, una obbligatoria tradizione da osservare e che comunque non costituiva peccato grave.

A volte, infatti,  veniva addirittura detto, molto chiaramente, che l’inconvenienza era solo una “messinscena.

 La finalità dei gesti, come abbiamo visto, era essenzialmente quella di mettere alla prova il nuovo Templare che, prima dell’ingresso, aveva giurato di diventare servo e schiavo del tempio, il tutto anche al fine di evitare l’arruolamento di soggetti poco adatti alla vita di un Ordine militare.

L’inconvenientia verificava se effettivamente il candidato era davvero pronto a quella disciplina totale che aveva giurato di mantenere, mettendolo di fronte alla simulazione delle violenze inferte dai saraceni per ottenere la conversione all’Islam dei Templari fatti prigionieri.

Si trattava di un insieme di norme fisse a cui tutti i Templari dovevano assoggettarsi, un CODICE DI OBBEDIENZA MILITARE, un CODICE OMBRA, perché tutti ne erano a conoscenza ma nessuno ne voleva e ne doveva parlare dettagliatamente.

Il 22 Marzo del 1312 Clemente V promulgò la bolla VOX IN EXCELSO, dove dichiarava che il tempio non poteva essere canonicamente condannato dalla Chiesa ma solo sciolto a causa delle colpe di molti dei Suoi membri.

A questo punto restava solo il problema relativo alla sorte del Gran Maestro, e dei Dignitari ancora prigionieri.

Il Re li fece prelevare e condurre su un isolotto della Senna dove, come tutti sappiamo,   furono messi al rogo .

In conclusione l’attacco di Filippo il Bello contro il tempio fu solo l’epilogo di un progetto cominciato molto tempo prima, volto a pilotare la dirigenza dell’Ordine e la politica dei Suoi Dignitari ad esclusivo vantaggio degli interessi della Corona francese.

A monte di tutto vi era la necessità di accaparrare fondi per sopperire alle gravi difficoltà economiche della Francia ma anche una radicale divergenza sulla politica internazionale tra il Re e Jacques De Molay.

Purtroppo a causa di ciò un rituale di iniziazione militare che si era diffuso fra le tradizioni dell’Ordine venne sapientemente sfruttato per mettere il Tempio sotto accusa, trasformandone alcuni aspetti goliardici militareschi  e presentandoli come manifestazione di un profondo  credo anticristiano.

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