Francesco D’ Errico
Chi si appresta ad esaminare le tantissime carte lasciate dal processo contro il Tempio, si troverà dinanzi ad un enorme quantità di dati, pieno di evidenti e stridenti contraddizioni.
Ma di cosa precisamente furono accusati i Templari e quali erano gli specifici capi di imputazione e soprattutto chi li aveva elaborati ?
Usando una terminologia contemporanea potremmo sicuramente dire che l’istruttoria del processo fu quantomeno “viziata”.
Vedremo infatti che il processo contro i Templari fu progettato come un meccanismo perfetto, quasi infallibile e solo l’opposizione di Papa Clemente V ne ritardò gli esiti.
In effetti una volta messo in moto il Tribunale dell’Inquisizione vi erano veramente pochissime speranze di salvezza per gli imputati.
Seguendo le tracce della legge dell’epoca si apprende che l’Inquisizione iniziava la sua attività in base a tre tipi di procedura.
L’ACCUSAZIO : con la quale un individuo si rendeva responsabile di lanciare una imputazione/accusa contro un altro individuo ed era personalmente passibile di pena qualora l’accusa si fosse rivelata infondata ;
LA DENUNCIATIO : con la quale un pubblico ufficiale sollecitava la corte a prendere provvedimenti contro eventuali colpevoli che ricadessero nella sua giurisdizione ;
L’INQUISITIO : con la quale era lo stesso ordinario dell’Inquisizione a citare il sospettato, imprigionandolo qualora se ne temesse la fuga.

Avviata la procedura il “capi di accusa” (capitula inquisitionis) venivano comunicati al sospettato / imputato e si procedeva all’interrogatorio, all’ascolto dei testimoni, alla difesa da parte dell’Avvocato ed infine vi era l’emissione del verdetto.
La procedura usata contro i Templari fu del terzo tipo e si avviò quindi con l’inquisitio.
In effetti l’inquisitore di Francia, con una lettera del 22 Settembre 1307 chiese aiuto al sovrano francese per trarre in arresto i Templari e condurre il processo.
Questo tipo di procedura prevedeva l’uso “giustificato” della violenza, persino nella fase delle indagini preliminari.
Il processo era in genere condotto da un solo inquisitore che poteva però contare sull’aiuto di assistenti che “preparavano” l’istruttoria e svolgevano la prima parte del lavoro.
Il potere secolare era obbligato, in questa fase ed a pena di scomunica, a fornire tutto il supporto necessario, anzi, tutto il popolo cattolico era soggetto allo stesso obbligo.
Chi rivestiva incarichi per l’Inquisizione, quasi sempre frati domenicani, godeva di una libertà quasi assoluta nella gestione dell’inchiesta.
Filippo Il Bello, si servì delle denunce / deposizioni di rinnegati usciti da Tempio, anzi ne fece infiltrare alcuni, per meglio conoscere usi ed abitudini della milizia e poi le fornì, in maniera anonima e non ufficiale all’inquisitore, mettendolo al corrente di un corposo dossier e delle numerose testimonianze raccolte.
Fu dunque Guillaume de Paris, Inquisitore di Francia, ad innescare il meccanismo, rendendo, a questo punto, il Sovrano, addirittura obbligato a fornire tutto l’aiuto richiesto.
Il procedimento ordinario partiva dunque con la “delazione” con la quale veniva riferito all’Inquisizione che una persona aveva una cattiva reputazione per motivi rientranti nella sfera dei reati eretici.
A questo punto si imbastiva una inchiesta che si potrebbe definire a dir poco “sommaria” con la raccolta di dati e testimonianze volte esclusivamente ad accertare la colpevolezza del sospettato.
In questa fase, le violenze, unite al timore di essere giudicati collusi agli eretici, inducevano i testi ad assecondare il desiderio degli assistenti / famigli dell’inquisitore, appesantendo le loro testimonianze con dettagli esagerati e spesso falsi.
L’accusato, in pratica, diventava da subito, presunto colpevole e poteva anche, addirittura, non avere alcun processo.
In effetti era proprio a questo che mirava Filippo il Bello, ottenere una condanna emessa dalla Chiesa, contro i Templari, senza farli passare attraverso un giusto processo.

Una volta avviata la procedura, l’imputato poteva scegliere tra due sole strade :
1. CONFESSARE le accuse, abiurare l’eresia ed accettare qualunque pena gli venisse imposta, in genere la prigione a vita ;
2. NEGARE LE ACCUSE e quindi essere ritenuto eretico impenitente ed essere abbandonato al braccio secolare e quindi al rogo.
La procedura dell’Inquisizione rendeva, dunque, praticamente nulle le possibilità di difendersi ed ottenere un verdetto di innocenza.
L’imputato, per avere salva la vita, doveva comunque ammettere, almeno, qualcuna delle imputazioni formulate contro di lui.
In effetti, Filippo il Bello, nel suo ordine di arresto dava esplicite indicazioni sull’uso della violenza e su come dovevano essere trattati gli arrestati.
Imprigionati e tenuti sotto stretta sorveglianza, separati gli uni dagli altri, interrogati con l’uso della tortura e, una volta che avevano confessato, le loro deposizioni dovevano essere messe per iscritto alla presenza di testimoni.
La strategia regia prevedeva l’immediata diffamazione dell’immagine dei Templari, rendendo pubbliche in tempo reale le loro confessioni e la raccolta di quante più prove possibili da esibire al Pontefice per esigerne la condanna.
Una mossa strategica, a tal fine, fu quella di far confezionare una lettera, nella quale il Gran Maestro, Jaques De Molay, ordinava a tutti i templari, sotto il vincolo della obbedienza, di rivelare quanto era accaduto durante le loro cerimonie di ingresso nell’ordine.
Questa lettera, unita al fatto che fu reso di pubblico dominio che De Molay aveva confessato, indusse tutti i confratelli a raccontare cosa fosse accaduto durante la loro recezione nel Tempio.
La lettera, al fine di dimostrarne la autenticità, fu addirittura sigillata con la bolla d’argento del Gran Maestro.
In questo modo ogni templare era di fatto obbligato a confessare.
A questo punto il Papa, messo a conoscenza di quanto stava accadendo, cercò in ogni modo di far interrogare il Gran Maestro e gli altri dignitari imprigionati, dai suoi emissari.
Dopo molte resistenze e solo sotto la minaccia della scomunica, riuscì nel suo intento.
In quella occasione De Molay, in chiesa, insieme ad altri 40 templari, mostrò i segni delle torture subite dicendo “ci hanno fatto confessare ciò che volevano” .
A questo punto il Papa sospese i poteri dell’Inquisizione esprimendo profondo biasimo nei confronti di Guillaume de Paris per il modo in cui aveva dato inizio e successivamente condotto il procedimento contro i Templari.
L’Inquisizione continuò, comunque, a lavorare nell’ombra anche se Filippo il Bello possedeva già più di 300 deposizioni favorevoli all’accusa.
In effetti sono giunte, ai giorni nostri, circa trecento deposizioni di Templari interrogati tra l’Ottobre del 1307 ed il Gennaio del 1308 anche se per 47 di loro non risulta alcuna confessione relativa al “rinnegamento di Cristo” e per tantissimi altri le quantità di non colpevolezza aumentano vertiginosamente in ordine alle altre accuse.
Era comunque chiaro che il Papa era irremovibile e non ci sarebbe stato alcun verdetto prima di aver chiarito la posizione dei frati, in maniera soddisfacente e non certamente con la tortura.
Tutte le prove raccolte durante la primavera del 1308 dall’Inquisizione furono, infatti, ritenute da Clemente V gravemente sospette e non certamente utili ad emettere un giudizio di condanna nei confronti dei Templari.
In effetti il teorema accusatorio contro i Templari, messo in piedi dagli strateghi / avvocati del Sovrano, si poteva assimilare ad un “corpo fluido”, in fieri, capace di crescere continuamente ed a dismisura, sull’onda della diffamazione e di inglobare qualunque elemento potesse incontrare sul suo cammino.
Le istruzioni regie per eseguire l’interrogatorio descrivevano 7 colpe specifiche a cui l’imputato doveva solo rispondere “si” o “no” senza possibilità di giustificazioni e/o spiegazione alcuna.
1. “è vero che hai rinnegato Cristo ‘” ; 2. “è vero che hai sputato sulla Croce ?” ; 3. “è vero che vi scambiate baci sulla schiena e sull’ombelico ?” ; 4. “è vero che se richiesto dovete unirvi carnalmente ai confratelli ?” ; 5. “è vero che adorate una testa maschile barbuta ?” ; 6. “è vero che indossate una cordicella in onore di questo idolo ?” ; 7. “è vero che non consacrate l’Eucaristia ?” .
Il teorema accusatorio contro i templari era cresciuto in questo modo, ed in poco tempo, più di dieci volte rispetto all’inizio dell’inchiesta.
La sostanza dell’accusa fu dunque stravolta nel corso del processo durato ben 7 anni, iniziato con l’arresto e conclusosi con l’esecuzione del Gran Maestro il 18 Marzo del 1314.
Alla fine di Giugno del 1308 Clemente V poté finalmente aprire la sua inchiesta, quella pontificia, sui Templari, ormai stremati dalle torture della Inquisizione.
Nei giorni 28, 29 e 30 di Luglio del 1308 gli imputati furono sentiti a Poitiers dinanzi ad una speciale commissione ecclesiastica di cardinali / fiduciari scelti personalmente dal Pontefice per assisterlo.
Si trattava di cardinali nominati da Clemente V, ma vicini anche al sovrano, scelti per motivazioni di grande competenza e di profonda fiducia personale, la maggior parte di quali già esperti degli orrori dell’Inquisizione.
Quest’ultima come abbiamo visto era stata concepita come una formidabile arma, capace di eliminare rapidamente gli avversari religiosi tramite un procedimento giudiziario che poteva prevedere una sorta di condanna d’ufficio, senza neanche l’allestimento del processo vero e proprio.
Questo meccanismo poggiava comunque sull’intervento del potere laico in quanto la Chiesa non emetteva mai sentenze di morte.
Gli eretici o presunti tali venivano abbandonati al braccio secolare che decretava ed effettuava materialmente sul rogo.
Questo efficientissimo strumento diventò una micidiale arma nelle mani del potere laico che se ne servì, come nel caso dei Templari, per perseguire i propri scopi ed interessi.
Conscio di ciò, Clemente V, ad un certo punto, siamo ormai nel 1308, sospese i poteri dell’Inquisizione ed avocò a se l’inchiesta sui Templari.
Nonostante le forti resistenze di Filippo il Bello, il Pontefice riuscì, finalmente, ad interrogare i frati del Tempio, in parte a Poitiers (circa 72 frati) ed in parte a Chinon dove il sovrano aveva trattenuto il Gran Maestro e gli altri dignitari.
Finalmente i Templari ebbero la possibilità di parlare della propria vita religiosa, dei loro doveri verso l’ordine monastico, delle loro preghiere e di ciò che erano stati costretti a fare durante le cerimonie di ingresso nell’ordine, mettendo seriamente in discussione le accuse regie.
In effetti, dinanzi al Re ed all’Inquisizione i templari avevano potuto rispondere solo sui fatti che interessavano l’accusa, su specifiche e stringate domande e peraltro sotto tortura.
In sostanza gli atti dell’inchiesta parigina si limitavano a fornire l’elenco dei gesti compiuti dai frati, senza possibilità di spiegazione alcuna, in quanto il Sovrano cercava solo ed esclusivamente “ammissioni” e “confessioni”.
L’inchiesta pontificia mirava invece a capire in quali condizioni, in che termini e soprattutto perché quei gesti erano stati compiuti.
Clemente V in poche parole tentò di assicurare ai Templari un “giusto processo” ed il risultato fu che i Templari non erano né pagani né eretici anche se, innegabilmente, si erano macchiati di colpe contro la morale religiosa dell’epoca.
Il pontefice poteva però usare clemenza contro i templari poiché emergeva chiara la totale assenza di una vera diffusione ereticale.
Dall’inchiesta pontificia emerse solo l’esistenza di una pratica consuetudinaria applicata al momento dell’ingresso nell’Ordine.
Pratica che comunque, seppur solo a livello esteriore, recava gravi e pesanti offese alla dignità religiosa.
A questo punto però, di fronte a queste pratiche ed a queste generalizzate ammissioni di colpevolezza il procedimento giudiziario, originariamente promosso da Filippo il Bello, contro i singoli Templari si trasformo, alla fine della inchiesta d Clemente V, in un processo contro l’intero Ordine che aveva consentito, tollerato, anzi preteso simili comportamenti.
Ala fine della sua inchiesta Clemente V assolse i Templari, intenzionato però a procedere ad una nuova stesura della loro “Regola”.
L’idea di trasformare il processo contro i singoli in un inchiesta contro l’Ordine fu frutto di una abile strategia del Pontefice, volta a salvare i Templari stessi .
La Bolla Papale, “Faciens Misericordiam” emessa il 12 Agosto del 1308 ordinò che tutti i frati templari fossero sottoposti a procedimento giudiziario riconoscendoli però colpevoli solo dei reati appurati dall’inchiesta pontificia.
Nel frattempo, però il 5 Luglio del 1308 il Papa aveva ripristinato i poteri dell’Inquisizione attribuendo la possibilità di indagare solo sui singoli frati e mai sull’ordine in generale, attività quest’ultima che il Pontefice riservava esclusivamente al proprio giudizio unitamente alle persone dei dignitari.
Stranamente però, circa un anno dopo, il primo Agosto del 1309 il Papa, inaspettatamente, scriveva a tutti i Vescovi di Francia, dichiarando di non voler procedere ad alcuna redazione di una nuova “Regola” per il Tempio.
Questa inversione di tendenza ha una sua spiegazione logico politica, gli Avvocati regi, dopo 5 anni di oblio, avevano riaperto, formalmente, l’inchiesta contro il defunto Bonifacio VIII al fine di ottenerne la “damnatio memoriae”, per le gravi irregolarità nella sua elevazione al soglio pontificio.
Appare evidente che il Re usò questa inchiesta al fine di fare pressione su Clemente V ed in vista della seconda parte della grande inchiesta contro il Tempio che, in effetti, iniziò nell’autunno del 1309.
Sostanzialmente vi è il forte sospetto, anzi quasi la certezza, che il Sovrano negoziò con il pontefice la salvezza della memoria di Bonifacio VIII e di tutta la Chiesa in cambio della abolizione del tempio.
De Molay capì a questo punto che il Papa stava usando il Tempio come moneta di scambio politico.
Ciò posto, fece capire ai vescovi / commissari del Papa, che gli chiesero se desiderasse difendere il Tempio, nella seconda grande inchiesta parigina, di essere a conoscenza che la sorte dell’Ordine era ormai segnata.
Il Gran maestro era ormai un uomo solo ed i vescovi lo avvertirono che dovevano condurre l’udienza in modo sbrigativo e “senza la presenza ed il clamore degli avvocati”.
E’ chiaro ormai che il processo era completamente sfuggito di mano al Pontefice ed era tornato saldamente nelle mani del Re.
A ciò si aggiunga che la difesa, seppur sostanzialmente inutile, era di fatto impossibile, in quanto i templari, ancora sottoposti al carcere duro e sottoposti a violenze e torture, non potevano in alcun modo accedere al loro patrimonio.
L’unica cosa che restava da fare era cercare di salvare se stessi in quanto il tempio era ormai destinato alla distruzione.
I Lavori della commissione si conclusero ufficialmente il 26 Maggio del 1312 anche se, il 22 Marzo dello stesso anno Clemente V, aveva già promulgato la bolla “Vox in Excelso” dove dichiarava che il Tempio non poteva essere canonicamente condannato dalla Chiesa ma solo sciolto a causa delle colpe di molti dei suoi membri.
A questo punto e come già detto, il Gran Maestro e gli altri dignitari avrebbero dovuto essere giudicati, per le colpe ammesse, da una speciale commissione di nomina pontificia, ma De Molay che aveva ormai capito che l’Ordine era finito, proclamò nuovamente la propria innocenza e quella dell’Ordine, ritrattando tutte le ammissioni fatte in precedenza.
Quando Filippo il Bello venne a conoscenza di ciò fece immediatamente sottrarre il Gran Maestro dalla disponibilità della commissione e lo fece condurre sulla famosa isoletta della Senna dove il 18 Marzo del 1314 fu messo al rogo.
La storia ha chiarito che l’attacco di Filippo il Bello contro l’Ordine fu solo l’epilogo di un lungo processo, iniziato decenni prima, finalizzato a pilotare la dirigenza e le politiche dell’Ordine ad esclusivo vantaggio della corona francese.
Oltre alla necessità di accaparrare fondi, vi era anche una radicale divergenza in fatto di politica internazionale fra gli orientamenti della corona e quelli dell’ultimo Gran Maestro, che come abbiamo visto non brillò certo per coerenza e lungimiranza.
Il processo mirava, dunque, sostanzialmente ad ottenere, con manovre diverse, la destrutturazione della Chiesa romana .
La Bolla “Vox in Excelso” del 1312 pose dunque fine all’Ordine ma non alla sua storia, l’Ordine è attualmente sospeso e qualunque tentativo di ripristinarlo è da considerarsi fuori legge, quel provvedimento dopo più di 700 anni è ancora lì, valido e vigente.
Tutte le varie associazioni e/o organizzazioni no profit oggi esistenti, si ispirano ai valori cristiani del Tempio al fine di promuovere iniziative culturali, di beneficenza e di solidarietà.
Chiunque si proclami erede di quell’Ordine e di quegli antichi Cavalieri, come se l’Ordine non si fosse estinto, dichiara il falso, sia sotto il profilo storico sia sotto quello giuridico.
Il Tempio era un Ordine religioso e militare, i suoi appartenenti erano monaci guerrieri, che si impegnavano a non avere mogli e figli e a non avere beni di proprietà.
Chi, oggi, può dire di essere in possesso di questi requisiti : NESSUNO.
Taranto lì 1 Giugno 2019