di Antonio Masala
Proseguendo il percorso esoterico che in qualche modo vede coinvolti i Templari, oggi cerchiamo di approfondire un sistema filosofico/scientifico antichissimo, l’Alchimia.

L’alchimia era un’antica pratica nata in Oriente alcuni secoli prima di Cristo che ebbe il suo più fiorente sviluppo in Mesopotamia, la culla di tutte le civiltà. Si trattava di una disciplina a carattere trasversale in quanto raggruppava insieme varie conoscenze di chimica, fisica, astrologia, arte, metallurgia e medicina, condite di misticismo e un pizzico di religione. Ma era anche e soprattutto un processo di trasformazione interiore dell’individuo, metaforicamente rappresentato attraverso procedimenti di laboratorio. Proprio per questo motivo tra gli alchimisti si annoverano esponenti di varie classi e tessuti sociali, dai nobili ai prelati, passando per scienziati e filosofi per concludere con gli immancabili ciarlatani, venditori di improbabili pozioni nelle corti.
Il periodo di maggiore fioritura si ebbe intorno al I secolo a.c. durante il periodo alessandrino, in particolare ad opera di una certa Maria l’Ebrea, donna leggendaria che pare abbia inventato quel metodo di riscaldamento ancora oggi conosciuto come “bagnomaria”.
Il termine deriva dall’arabo al-kimiya che significa fondere, colare insieme, saldare, giacché fu proprio il mondo musulmano, successivamente, ad inquadrarla nel nome e nella disciplina. Tra i più importanti alchimisti del mondo arabo non possiamo non menzionare Avicenna, tra i primi a creare una rudimentale tabella degli elementi.
In Occidente tale scienza esoterica mosse i primi passi intorno all’anno mille, sempre per il tramite degli Arabi (attraverso i Templari?) e i primi “cultori della materia” furono paradossalmente i monaci, dato che all’epoca tutto il sapere era custodito nei monasteri. Anzi, persino un Papa, Silvestro II, non a caso denominato il “papa mago”, si era cimentato nello studio delle pratiche alchemiche. Tra gli esponenti di spicco del periodo possiamo sicuramente citare, tra gli altri, Alberto Magno, Ruggero Bacone e Raimondo Lullo.
Prima di essere messa al bando infatti, l’alchimia era considerata addirittura una scienza divina: secondo una interpretazione di matrice francescana, persino la scritta INRI che campeggiava sul simbolo del martirio del Redentore, poteva essere riletta come Igne natura renovatur integra (tramite il fuoco, la natura sarà rinnovata e restituita alla sua originale integrità).

Il procedimento alchemico si proponeva di trasmutare i vili metalli nei più perfetti (nobili) oro e argento, attraverso un processo di cottura all’interno di un forno denominato Atanor con l’interazione di due componenti essenziali, il mercurio e lo zolfo, unitamente al sale, terzo elemento di unione. Tale procedimento si sviluppava attraverso quattro operazioni (Putrefazione, Calcinazione, Distillazione e Sublimazione) e tre fasi (Soluzione, Coagulazione e Unione); queste ultime erano identificate con la nigredo o opera al nero, in cui la materia si dissolveva, putrefacendosi, l’albedo o opera al bianco, durante la quale la sostanza si purificava, sublimandosi e la rubedo o opera al rosso, che rappresentava lo stadio finale attraverso il quale l’alchimista assisteva alla spiritualizzazione della materia per discesa del fuoco. Tale procedimento complesso era definito “La Grande Opera”.
Altro obiettivo dell’alchimista era incentrato sulla ricerca della “pietra filosofale”, una sorta di panacea universale che avrebbe dovuto curare tutti i mali e prolungare indefinitamente la vita. San Tommaso d’Aquino, discepolo di Alberto Magno, scrisse un trattato sulla pietra filosofale, il De lapide philosophico, in cui era descritto come quell’oggetto potesse trasformare lo zolfo in oro: “ne ho fatto bollire nell’acqua forte a fuoco lento; essendo quest’acqua divenuta rossa l’ho distillata con l’alambicco ed ho ottenuto come risultato, in fondo alla cucurbita, lo zolfo rosso puro, che ho fatto rapprendere con la pietra bianca suddetta, per renderla egualmente rossa. Ne ho versato una parte su una quantità di rame ed ho ottenuto dell’oro purissimo”.

La pietra filosofale, oggetto di studio anche del già citato Roger Bacon, oltre che sasso, veniva identificata come una sostanza di tipo etereo, oppure una gemma e, secondo altre versioni, un liquido o una polvere. Analizzata dal punto di vista del linguaggio sacro ed esoterico però, poteva anche significare il percorso alchemico che portava all’onniscienza e sotto questo aspetto assumeva connotati mistici. Secondo questa interpretazione, pietra filosofale significava anche “pietra che porta il segno del sole” e, con questa chiave di lettura, è agevole il rimando all’antica astrologia. La trasmutazione della materia, da sostanza comune a sublime, era pertanto intesa come il raggiungimento della conoscenza suprema da parte dell’uomo (la cosiddetta trasmutazione mentale) che, attraverso un percorso di purificazione, passava dalla pietra grezza a quella finemente levigata. Da qui si evincono tante connessioni con i Templari e la moderna massoneria.
È proprio a questo punto, a partire dal XIV secolo, che l’alchimia comincia ad assumere connotati di dottrina esoterica e cabalistica e, di conseguenza, ad essere perseguita dalla chiesa. Il già citato francescano Raimondo Lullo, definito l’”uomo dai poteri magici”, scatenò le ire di Papa Giovanni XXII che emise la prima bolla contro tale pratica, equiparandola alla magia e alla stregoneria. Essendo pertanto stata accostata alla pura eresia, gli iniziati dovettero velare con simboli e allegorie i propri concetti.

Accanto ai resoconti storici non possiamo sottacere i miti tra i quali, senza dubbio, il più affascinante è quello che si riferisce a NicholasFlamel, il più grande alchimista di tutti i tempi, il quale avrebbe impiegato tutta la sua longevissima vita alla ricerca della pietra filosofale e riuscendovi, avrebbe guadagnato l’immortalità!
Alcuni storici che hanno provato a decifrare l’ermetico linguaggio degli alchimisti, hanno trovato connessioni con società mistiche o esoteriche, spaziando dai Rosacroce alla stregoneria. Grande significato è, come detto, riservato ai simboli, molto utilizzati per nascondere il messaggio ai non iniziati; così per esempio l’oro e l’argento acquisiscono i tratti simbolici, rispettivamente, del Sole e della Luna, ma anche della luce e delle tenebre e del principio maschile e femminile, che si uniscono come opposti nella Grande Opera.
Le stesse tre fasi fondamentali sono simboleggiate, rispettivamente, dal corvo, dal cigno e dalla fenice. Quest’ultima, per la sua capacità di rinascere dalle proprie ceneri, incarna il principio del “nulla si crea e nulla si distrugge“, tema centrale della speculazione alchemica. Tra le varie leggende si pensava che l’alchimia fosse un’arte praticata soprattutto dai Templari, i quali avrebbero accumulato enormi ricchezze tramite questa prodigiosa disciplina. In seguito a scavi archeologici effettuati a Essarois in Borgogna e a Volterra, sedi d’importanti commende dell’Ordine, sono stati ritrovati due cofanetti, ornati con simboli alchemici, anche se alcuni storici non sono convinti che siano così antichi.
Lo storico tedesco Mertzdorff, il quale dichiarò di aver ritrovato ad Amburgo una delle tante millantate copie della regola segreta del Tempio, riferiva che all’art. 9 erano presenti espressi riferimenti a pratiche alchemiche: “È fatto divieto, nelle commende, in cui tutti i fratelli non sono degli eletti o dei consolati, di lavorare alcune materie mediante la scienza filosofale e quindi di tramutare i metalli vili in oro e argento. Ciò sarà intrapreso soltanto in luoghi nascosti e in segreto”. Fatto sta che il misterioso sigillo templare, due cavalieri in groppa ad un unico destriero, richiama l’alchimia del mercurio e dello zolfo i quali, uniti insieme con il fuoco segreto (rappresentato simbolicamente dal cavallo), fanno sì che si ottenga la pietra filosofale. Per non parlare della “testa di corvo”, altro simbolo alchemico che riporta alla ben nota testa del Bafometto, attribuita ai Templari come pratica eretica. Alle soglie del Cinquecento comunque la magia, la medicina e l’alchimia erano ormai legate in maniera inestricabile. Tra chi intendeva l’alchimia soprattutto come una sorta di magia occultista citiamo Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim, il quale riteneva di essere un potente mago capace di evocare gli spiriti.
Dopo essere caduta alquanto in disuso durante l’alto Medioevo, ebbe una seconda vita nel Rinascimento per le sue implicazioni nel mondo della medicina. In particolare si ricorda la figura di Paracelso, medico e astrologo svizzero il quale, considerando il corpo umano nient’altro che un sistema chimico, si occupò di sviluppare uno studio sulla cura delle malattie mediante l’uso di sostanze minerali.
In seguito e fino al XVIII secolo l’alchimia, nella parte più strettamente chimica e sperimentale, aveva pian piano conquistato dignità scientifica ed era considerata una disciplina piuttosto seria, se si considera che personaggi come Isaac Newton impiegassero molto più tempo al suo studio piuttosto che alla fisica.
L’alchimia comunque contagiò non solo scienziati, ma anche artisti e personalità politiche quali ricordiamo, ad esempio, lo stesso Cosimo I de Medici. Come detto, con l’avvento delle moderne discipline l’alchimia, considerata da molti l’antenata della chimica moderna prima della formulazione del metodo scientifico, fu ridotta ad arcano sistema filosofico al pari della cabala; esclusa dagli studi universitari ha ormai trovato la sua nicchia tra la filosofia e l’esoterismo, il cui massimo esponente è stato ultimamente lo psicanalista Carl Gustav Jung.
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