«Voi che m’avete fatta regina, tale mi conserviate»
di Angela Campanella

ISABELLA di Chiaramonte o di Chiaromonte fu regina di Napoli. Nacque, probabilmente nel 1424, da Caterina Del Balzo Orsini, figlia di Maria d’Enghien, e da Tristan de Clermont, italianizzato in Tristano di Chiaromonte, cavaliere francese di antico lignaggio giunto a Napoli al seguito di Giacomo di Borbone, secondo marito di Giovanna Seconda. Quando nel 1415 Tristano sposa Caterina viene investito della contea di Copertino, che faceva parte della ricca dote assegnata da Maria d’Enghien alla figlia. Dopo le nozze, Tristano e Caterina si trasferiscono in Puglia, dove Tristano governa le proprie terre con l’appoggio delle popolazioni locali.
Nel maggio del 1420, il Principato di Taranto viene assegnato a Giovanni Antonio Del Balzo Orsini, primogenito di Maria d’Enghien, e Tristano viene privato di quasi tutti i suoi feudi per un’accusa di tradimento contro la regina. La mamma di Isabella, Caterina, muore a Lecce il 24 novembre 1430, seguita l’anno dopo dal marito Tristano. Isabella ha solo diciassette anni e viene sottoposta alla tutela dello zio materno, Giovanni Antonio Del Balzo Orsini, sempre più potente principe di Taranto. Dopo la vittoria sugli Angioini e la conquista di Napoli, il re Alfonso I° d’Aragona avvia una strategica politica matrimoniale. Fa sposare la figlia Maria con Leonello d’Este, signore di Ferrara, e l’altra figlia Eleonora con Marino Marzano principe di Rossano. Per il matrimonio del figlio illegittimo Ferdinando, invece, fallisce l’accordo sia con Filippo Maria Visconti, che con il re di Francia, Carlo VII.
Intanto, Alfonso viene a sapere che durante una sua grave malattia, i baroni del Regno hanno tramato per impedire la successione al trono di Ferdinando, detto Ferrante. Per garantire al figlio l’appoggio dei grandi feudatari, propone a Giovanni Antonio Del Balzo Orsini il matrimonio tra il figlio e Isabella, nipote prediletta del potente principe di Taranto che stava allora trattando il matrimonio tra la giovane e Tommaso Paleologo, fratello dell’imperatore di Costantinopoli. Gli accordi matrimoniali tra re Alfonso e il principe si conclusero rapidamente. Il papa Eugenio IV concede a Ferdinando, duca di Calabria, la legittimazione per succedere al trono. Si avviano i preparativi per le nozze. Alfonso invia a Lecce Ximén Pérez de Corella, con un corteo di nobili per prelevare Isabella e condurla a Napoli dove la fanciulla giunge dopo un soggiorno a Taranto, accolta calorosamente dalla popolazione, e poi a Venosa, per incontrare l’ altro zio, il duca Gabriele Del Balzo Orsini. Le nozze vengono celebrate nella cattedrale di Napoli a fine maggio del 1445.
Isabella riceve il titolo di duchessa di Calabria, in quanto consorte dell’erede designato al trono di Napoli. Il 4 novembre del 1448 dà alla luce il primo figlio, Alfonso, che sposerà Ippolita Maria Sforza; due anni dopo nasce Eleonora, che andrà in sposa a Ercole I d’Este, duca di Ferrara. L’anno dopo nasce il terzogenito, Federico, che sarà l’ultimo e sfortunato re aragonese di Napoli. Dopo una breve malattia Isabella dà alla luce il quartogenito Giovanni e, dopo essersi ripresa da intervento chirurgico, dà alla luce Beatrice, che sposerà Mattia Corvino, re di Ungheria. Trasferitasi con i figli a Nola per sfuggire alla peste che infesta la capitale, Isabella scrive a Francesco Sforza per informarlo della morte del suocero Alfonso e dell’acclamazione a re di Napoli del marito Ferdinando.
La successione di Ferdinando al trono è però molto travagliata per l’avversione del papa Callisto III. Alla sua morte, però, il neoeletto Pio II porta alla ratifica di accordi che spianano la via all’incoronazione di Ferdinando I, il 4 febbraio 1459, a Barletta, per mano del cardinale Latino Orsini, legato del papa. Isabella, in qualità di regina, viene chiamata a un grande impegno sul piano politico e diplomatico a fianco del marito, nella difficile situazione creatasi con la sollevazione dei grandi feudatari. Desta preoccupazione il fatto che alcuni tra i maggiori baroni ribelli sanciscono un accordo con Giovanni d’Angiò, pretendente angioino. Dopo una prima spedizione in Abruzzo, Ferdinando è impegnato in operazioni belliche per contenere il principe di Taranto filo-angioino; poi opera in Calabria contro altri baroni. Viene però costretto a un rapido rientro a Napoli: la potente flotta franco-genovese si è presentata nel golfo di Napoli.
Durante la sua assenza si sono verificati dissidi fra la regina Isabella e il figlio Alfonso sulla luogotenenza. Il re Ferdinando interviene ordinando al figlio e a tutti di prestare obbedienza alla regina come alla sua stessa persona e stabilisce che la luogotenenza generale sia condivisa fra Alfonso e la madre. Nello stesso anno Isabella interviene tempestivamente a sedare una improvvisa rivolta dei marinai napoletani contro i padroni catalani. La regina fa fortificare tutte le postazioni sulle coste campane e ne fa costruire di nuove, preoccupandosi di difendere i luoghi vicini alla capitale. È sicura così di poter fronteggiare la flotta di Giovanni d’Angiò, avvistata a Ponza con le sue navi. Esorta i Napoletani e i cittadini di Terra di Lavoro a rimanere fedeli al re. La capitale si prepara a respingere l’assalto. Giovanni fa riportare sulle sue bandiere il motto evangelico che recita “fuit homo missus, cui nomen erat Iohannes (Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni) e Isabella fa scrivere sulle sue, di rimando, il versetto “et ipsi eum non receperunt” (E i suoi non lo ricevettero).
Dopo la resistenza di Pozzuoli e Ischia le forze angioine riescono a sbarcare. Questo e la sollevazione di molti baroni e città del Regno, obbligano il re a ritornare e riprendere la battaglia. Ferdinando subisce un attentato a cui scampa con abilità e coraggio e di cui dà personalmente notizia alla regina in una lettera. Il 7 luglio 1460 l’esercito del re subisce una tragica sconfitta a Sarno. È un momento difficile per il sovrano che in mancanza di denaro per la corte è costretto a chiedere ai Napoletani e a tutti i sudditi un contributo per la difesa del Regno. Giovanni d’ Angiò trova l’appoggio proprio del principe di Taranto, Giovanni Antonio del Balzo Orsini, lo zio di Isabella. Le cronache riferiscono che coraggiosa regina, travestita da monaco francescano e accompagnata dal suo confessore, parte da Napoli e si dirige a tappe forzate al castello di Sarno, dove il duca angioino e l’Orsini, dopo la vittoria, hanno posto il quartier generale. La regina viene accolta con affetto dallo zio, che ascolta la sua accorata preghiera.
«Voi che m’avete fatta regina, tale mi conserviate» – dice Isabella, implorando lo zio di abbandonare la causa angioina e la guerra aperta a suo marito. La sua preghiera convince il principe che mantiene la parola data alla nipote e manda all’aria i piani del pretendente al trono, consentendo a re Ferrante di salvare la corona e di esprimere le sue rimostranze ai baroni per i gravi recenti fatti occorsi contro la Corona. Isabella provvede pure ad impegnare parte dei propri gioielli, a vendere stoffe da poco acquistate, e a contrarre debiti per raccogliere le somme necessarie alla difesa del Regno e alle necessità di approvvigionamenti alimentari per la città Napoli. Il 16 dicembre del 1461 Isabella dà alla luce il sesto figlio, Francesco. La riscossa di Ferrante intanto culmina nella grande vittoria di Troia il 18 agosto 1462. Molti baroni lasciano la fazione antimonarchica, il principe di Rossano capitola nel settembre 1463, il principe Giovanni Antonio muore nel novembre dello stesso anno. Giovanni d’Angiò, prima si ritira a Ischia, poi lascia il Regno di Napoli e ritorna in Provenza. Isabella muore a Napoli il 30 marzo 1465 per una malattia di cui si ignora la natura e per curare la quale Ferdinando fa giungere da Roma uno dei maggiori medici del tempo.
Viene sepolta, dopo esequie solenni, nella chiesa napoletana di S. Pietro Martire. La storiografia ha tramandato elogi sul suo ruolo politico e sulle sue doti umane. Di lei sono state lodate la religiosità, la severità di costumi e la salda presenza di spirito. Celeberrimo è il ritratto letterario dedicatole da Giovanni Sabadino degli Arienti, che la definì “humanissima et affabile, honestissima in opere et in parole” e che la descrisse “alta de corpo, cum una grata macilentia, colorita biancheza; li suoi occhii tendevano un poco sul bianco; li capilli furono biondi et lungissimi”. Così, l’altrettanto celebre immagine eseguita da Colantonio, che la ritrae in preghiera insieme con i figli Alfonso ed Eleonora in un riquadro del celebre polittico di S. Vincenzo Ferrer nella chiesa di S. Pietro Martire, sembra evocare la lode del poeta catalano Benedetto Gareth, racchiusa nel verso “morigera, fidel, casta e prudente”.
Angela Campanella, insegnante di materie scientifiche per professione, scrittrice, storiografa e documentarista per passione. Ha scritto i testi e ha curato il montaggio e la regia di programmi didattici e divulgativi della Rai, dell’Irssae, dell’Unicef e di Enti turistici e culturali, riguardanti la storia normanna, sveva e aragonese e, in particolare, quella di Federico II e dei suoi castelli, di Bona Sforza, duchessa di Bari e regina di Polonia, di sua madre Isabella d’Aragona, di Sibylla d’Altavilla e di tante figure femminili simbolo della realtà europea medievale e rinascimentale. Ha pubblicato tra gli altri “Vlad III di Valacchia: il Principe e l’Ordine del Drago” e “I volti della Luna”, una biografia-autobiografia con la Prefazione di Carmen Lasorella, dedicata a Santa Fizzarotti Selvaggi, poetessa contemporanea, come lei impegnata in molteplici campi della cultura e del sociale. Più volte premiata all’International Tour Film Festival e in altre rassegne cinematografiche. È membro di associazioni e centri di studio e ricerca storica. Pubblica sulla rivista scientifico-teologica “Nicolaus” dei P.P. Domenicani della Basilica di San Nicola articoli relativi alle sue ricerche su “I Cavalieri di San Nicola e l’Ordine della Nave”.