La “mia” processione penitenziale da Bevagna

ovvero: Dell’ebrietudine della Storia

di Michelino Fistetto

Santu Pietru binitittu ci a lu disiertu stai,

Inizia così il cammino penitenziale della processione propiziatoria, che parte dal Santuario di San Pietro in Bevagna verso Manduria, definita anche voto di San Pietro, processione verde, bosco che si muove, nella copiosa bibliografia dagli scrittori locali. Con essa viene invocata contro la carestia la protezione del Santo, coprotettore della Citta, insieme con l’Immacolata, San Carlo Borromeo e San Gregorio Magno Papa. Si tratta di recare a spalle una copia del miracoloso quadro del Principe degli Apostoli cui originale rubato agli inizi del secolo scorso (settembre del 1914) fu attribuito addirittura all’evangelista Luca- per tutto il tragitto esteso circa dodici Km., accompagnati da tutto il Clero locale, da tutte le Confraternite cittadine, e da tutto il popolo di Dio di ogni età, dai fanciulli agli anziani d’ambo i sessi, anche dei Comuni limitrofi. Essendo questa una pia tradizione secolare, legata alla leggenda dello sbarco di San Pietro Apostolo sui nostri lidi nel suo viaggio da Antiochia a Roma, ma collegata anche alla locale cultura contadina -per cui la traslazione del quadro avveniva sempre in tempi di calamità naturali o di carestia per implorare dal

Santo la caduta della pioggia o comunque, per Sua intercessione, un buon raccolto- la Chiesa cattolica, tramite l’Ordinario diocesano pro-tempore, il compianto Mons. Michele Castoro, ha fissato recentemente, con un Decreto datato 25 giugno 2009, l’istituzionalizzazione dell’avvenimento a cadenza quinquennale, mentre fino a quella data non aveva mai avuto periodicità fissa.

Essa  ha  peculiarità  tipica  con  elementi  topici  particolarissimi  che  si rinvengono,  a parer mio (espresso  in  un  contributo  pubblicato  sulla rivista “ArcheoClub” del corrente anno), sin dalla cinquecentesca età controriformistica nell’antico normanno Casalnovo. Era questo il Casale risorto, per volontà dei Normanni, sulle rovine dell’antica Manduria distrutta dagli Agareni intorno all’anno Mille, e con quel nome -protrattosi successivamente per tutto il percorso storico medievale e moderno- restituito all’antico di origine messapica,  Manduria, solo nell’anno fatidico della Rivoluzione Francese (1789). Ho tentato di dimostrare in quel saggio storico le origini “contaminate” di questo pur antichissimo pellegrinaggio,

frutto di trasformazioni e integrazioni di culture di popoli diversi.

.

Apre la processione una selva verde di vegetazione naturale dei boschi e della macchia mediterranea: frasche, rami di palme, pesanti tronchi d’albero, di ulivo o di leccio, tagliati per l’occasione la none precedente dal vicino bosco in contrada Cuturi, ornati a mo’ di altarini con fiori e con oggetti simbolici -legati al quotidiano lavoro della terra- o con immaginette e statuine sacre, e poggiati sulle spalle e sul petto del penitente. Talvolta questi, alla maniera dei flagellanti medievali, si caricavano di pesanti massi calcarei che, secondo quanto riferisce lo studioso Pasquale Spina, una volta giunti in paese, essi scaricavano di fronte alla Chiesa di San Francesco: ” […] e

sembra che Giuseppe Renato Greco utilizzasse tali pietre per la costruzione del suo bellissimo Calvario”.

Questo fenomeno di religiosità popolare e probabilmente collegato ad antichi culti pagani, di cui si e perduta la memoria, assorbiti poi dal Cristianesimo nel corso dei secoli, rimaneggiati e caricati di significato penitenziale dal tipico contesto della cultura medievale, tramandati con modalità di adattamento ai tempi, fino a notte con canti, preghiere e rituali del tutto unici. Certo il pellegrinaggio ha assunto, soprattutto ai giorni nostri, una maggiore compostezza e il senso di una più profonda maturità religiosa che non nel passato, quando esso non e stato del tutto esente da toni di fanatismo  e  di  paganesimo,  dettati,  forse  anche,  dal  bisogno,  dalla miseria, dall’ignoranza.

Non mi sottraggo a questa sentita partecipazione corale non tanto o non solo perché faccio parte -da ex Priore- della Confraternita dell’Immacolata di Manduria, magna pars del pellegrinaggio, quanto per una sorta di senso civico: il senso della comunità cui appartengo e, comunque, ha senso della sua Storia. Provo a narrare in questo breve scritto l’ebrietudine della Storia che mi assale ogni volta in quel percorso penitenziale, ma anche tutte le volte, in cui percorrendo anche casualmente quel tragitto, è come se sforassi la porta del tempo: uno stargate della memoria!

Oggigiorno la Storia deriva dalla ricostruzione scientifica dei fatti, con un approccio multidisciplinare e con l’interdisciplinarietà metodologica di più scienze convergenti, basate su documenti e fonti le più varie e dalla più varia provenienza, ma sempre attentamente vagliate nella loro attendibilità; essa si serve nel percorso della ricerca, perfino dell’ antropologia visuale, come afferma lo studioso di cinema mandurino Costanzo Antermite, analizzando la gamma derivata dall’uso della strumentazione audiovisiva, droni compresi, e, per finire, le piccole  vicende che riguardano i piccoli uomini, come io sostengo. Cosi insegna, del resto, la famosa e ormai secolare scuola storica francese degli Annales, che annovera tra i suoi esponenti Gerard Delille, che considero mio Maestro, a cui Manduria ha offerto in tempi recenti la cittadinanza onoraria per gli studi da lui compiuti, riguardanti ii

Librone Magno.

Dio ti salvi, o Maria, piena di grazia, ate’ Signore e tecu, Tu siei benidetta fra li donni È iniziato il Rosario con la recita di queste Ave Marie dialettali, che hanno il sapore dell’antico, utilizzate con questa formula rituale solo in questa occasione! Seguo distrattamente, per la verità non seguo affatto, la recita della Preghiera, tutto preso da ricordi lontani nel tempo che destano sensazioni, emozioni, moti dell’animo inusitati e, un istante prima,  insospettati: io, docente di Storia e cultore di Storia Patria Affiorano date e nomi nella mente di vicende e uomini che si sono succeduti nel tempo e “passati” per queste contrade.

Dopo la caduta del dominio romano, gli Ostrogoti con Totila, predecessore di Teia, ultimo loro sovrano, si impadroniscono di Taranto e delle zone limitrofe nel 540 d.C.: nel 553 terminerà quella tremenda guerra gotico-bizantina durata un ventennio circa, che permetterà all’Impero di Bisanzio di insediarsi in Italia. A questi ultimi subentreranno i Longobardi. I Saraceni conquisteranno a loro volta le terre delle marine pugliesi e distruggeranno Manduria. I Normanni la faranno risorgere con altro nome, quando a Bevagna furono insediati i Benedettini d’Aversa, dando vita nel tempo a una florida Grancia. A riprova di ciò, presso Borraco, fiumiciattolo posto a circa tre Km. a ovest del Santuario, anch’esso rientrante nel territorio della Grancia, si svolgeva -come riferisce lo scrupoloso studioso Padre Giovanni Lunardi- la Paniera, un florido mercato fieristico, cosi ricco da destare le cupidigie di Oria e Taranto che intentarono lite giudiziaria.

Gli Svevi -attraverso it matrimonio di Costanza d’Altavilla, ultima normanna, che non fu dal vel del cor gia mai disciolta, (Dante, Paradiso III, v. 117), già monaca, ma forzatamente sposata nel 1185 per ragion di Stato a Enrico VI   Imperatore-
s’insedieranno nell’Italia meridionale: Regno retto con grande amore e oculata saggezza dal grande Federico II suo figlio, puer Apuliae, innamorato della nostra terra, alla quale nel 1250, sarà consegnato il suo corpo in Castel Fiorentino, dove Egli mori, località presso Dragonara e Castel del Monte. Tutti Castelli da lui voluti costruire insieme a quello di Oria, territorialmente a noi più vicino. È questo il periodo delle Crociate: i miei amati antenati Templari si insedieranno anche a Casalnovo, come ho dimostrato in un mio documentato saggio storico che li riguarda.

Dio ti salvi, o Maria, piena di grazia, ate Signore e tecu, Tu siei benidetta fra li donni e benidetto it frutto di tuo entirP, Gesid La voce della pia popolana, che anima il Rosario e completa la prima parte dell’Ave Maria, mi fa sussultare e mi riporta alla realtà. Quanto diversa da quella dei miei ricordi di fanciullo …!

Qui a Bevagna, intorno alla Torre a cappello di prete che ingloba il Santuario

1 Probabile allitterazione ecolalica di tecu, oggigiorno non pia in uso.

Assolutamente non entri, come oggi si direbbe!

di San Pietro, non distanti più di un raggio di trecento metri, a destra e a sinistra, fin dove l’occhio riusciva a spingersi con lo sguardo -all’esterno lungo la fascia del litorale, all’interno fino alla variegata macchia mediterranea largamente distesa a ridosso dei piedi delle PreMurge Tarantine- era l’immenso susseguirsi, brullo e mai discontinuo, di dorate dune sabbiose, dalle dolci curve sinuose che le connotavano:

Santu Pietru binitittu ci a lu disiertu stai, tantu beni ti ozzi Cristu, ca ti tunou li chiai. Tona a nui lu Paraisu, Tu ca la putistati l’ai = San Pietro benedetto che stai in luogo

deserto, Cristo ti ha tanto amato che ti dono le Chiavi. Donaci ii Paradiso, Tu che ne

hai la facoltà.

È proprio un paesaggio desertico quello che ricordo e che

attraversavamo recandoci al Chidro, it vicino laghetto con un breve corso d’acqua dolce: dune desertiche, sabbia trasportata e deposta dal lavorio millenario del tempo, nel corso dei secoli, in cui la Natura, a un certo momento della Storia, aveva saputo accogliere ed offrire ospizio al Santo, approdato secondo la leggenda su queste coste.

Dune ormai del tutto sparite, soppiantate dalla strada litoranea e divorate dall’uso insensato e abnorme della sabbia nell’ingorda cementificazione del territorio, che ha appiattito e abbrutito il paesaggio, allora unico, trasformandolo sensibilmente. A duecento metri dal Santuario, un imponente rudere: e l’antico Monastero dei Padri Benedettini, sede della florida Grancia, in cui era compresa la proprietà della vicina Salina; esso e tuttora esistente, ma malridotto, fatiscente e con problemi di staticità.

Tra le sue mura si svolse la mia prima vacanza al mare: fui infatti, ancora fanciullo, per una settimana ospite di mio cugino Franco Mero, accolto come un secondo figlio dai suoi genitori zia Lucia Micera e zio Salvatore Mero. Essi, a loro volta, godevano ogni anno per un mese, in due stanzoni di quella dimora, dell’ospitalità offerta loro, senza interesse alcuno, da Don Luigi Neglia, compianto ed amato storico Arciprete della Collegiata di Manduria, amico della loro famiglia, al cui beneplacito era affidato l’uso di quel bene ecclesiastico. Certo i servizi igienici lasciavano piuttosto a desiderare: il problema era che, insieme alla loro, ne usufruivano altre famiglie, circa una ventina di persone, tutte ospiti “villeggianti”. Si trattava di utilizzare -con gran pazienza, soprattutto al mattino, nonostante l’uso fosse richiesto a viva voce da tutti gli altri “avventori”- una sorta di piedistallo, tipo alla turca, in una cabina capace di un sol uomo per volta. Da essa, collocata al primo piano per tutti, scendeva fin nello scavo del sottostante terreno una specie di maleodorante canale verticale. Ma abitarvi era comunque un privilegio: si era nel corso degli anni Cinquanta, (dopoguerra dunque!) ancora lontani dal sopravveniente boom economico e qui da noi ancora Medioevo profondo! Si pensi che, fino agli inizi degli anni sessanta a San Pietro in Bevagna, in quella landa deserta ora soggiorno

Ma la traduzione, o trasposizione, come tutte le traduzioni, non rende allo stesso modo it concetto. Soprattutto quando essa e fatta dal dialetto: sicuramente nerde rli frecehp77n

estivo assai noto e superaffollato in estate, le case per “civile abitazione” si potevano contare sul palmo di una mano.

Eppure come non  ricordare, con commozione intensa, le emozioni che si accompagnano ai ricordi teneri e struggenti, dei miei primi tuffi con mio cugino Franco nell’acqua cristallina: alla scoperta di quel fiume e di quel mare immenso, visti con meraviglia e sbigottimento per la prima volta; alla raccolta delle conchiglie e della barba di San Giuseppe sul bagnasciuga; alle sere senza luce elettrica, vissute con gli altri coinquilini, seduti tutti intorno, grandi e piccini, a formare grandi ruote gioiose e contente del poco; ai racconti di storie, favole, esperienze -tristi di guerra o vissute felicemente nel quotidiano passato- auspici gli sprazzi di luce della luna, nel buio dominante sotto il cielo stellato, consumando una frisella fatta in casa, “cunzata” con tanti pomodori e origano, e soprattutto col sapore di fraterna umanità solidale.

Ma intanto le parole della seconda parte dell’Ave Maria mi scuotono e rammentano gli odierni impegni morali di fedele penitente: Santa Maria, Matiri4 ti Diu, preca pir noi li piccatori, atessu, e ne l’ora ti la nostra morti. E cusissia. Gesit e Maria. = Santa Maria, madre di Dio,prega per noi peccatori, ora e nell’ora della nostra morte. E cosi sia. Gesù e Maria.

La creatività, congiuntamente al fervore religioso di un popolo, hanno saputo adattare il dialetto, la propria lingua, patrimonio genetico della cultura di qualsiasi gente, anche con voci e suoni non utilizzati del linguaggio se non in questo unico caso.5 Ma la forza della Storia riprende in me il sopravvento!

Dopo gli Svevi, i francesi Angiò subentrano ad essi, e poi gli spagnoli Aragonesi che dopo la sanguinosa guerra dei Vespri siciliani, si dividono il Regno: la parte continentale del Meridione d’Italia recta angioina; la parte insulare diviene aragonese. Iniziano cosi la spartizione e le dominazioni straniere sulla penisola, pur dopo la fulgida civiltà rinascimentale italiana, unica nella storia dei popoli tutti.

Si giungerà all’unificazione della nostra Patria dopo secoli, nell’Ottocento, con la politica risorgimentale dello Stato sabaudo, con tutte le conseguenze socio-
politiche e le traversie che connotano il Meridione, fino alla risorta Italia democratica del secondo dopoguerra, con la nascita della Repubblica parlamentare.

Nell’Ottocento, infatti, dopo la piemontesizzazione del nuovo Stato, florido nacque, fiori e si sviluppo il brigantaggio su queste terre, fra queste masserie circondate da fitte boscaglie e macchie: fenomeno sociale dettato dalla miseria e dall’ignoranza, per le strumentalizzazioni borboniche e del clero retrivo, più che fenomeno delinquenziale, come pure venne trattato dai nuovi padroni.

Intanto serpeggia sotto il mio sguardo la lunghissima fila della folla variopinta,

Ecco perché entiri della precedente nota 2: deformazione dialettale per motivi di ritmo e assonanza con martiri. Cfr. tutte le precedenti note.

composta da bambini, giovani, vecchi, uomini e donne di ogni età, inquadrati in duplice doppia fila, lungo il percorso prestabilito, sinuoso e tutto curve, della pericolosa arteria Bevagna-Manduria, fra bandiere stendardi e gonfaloni, e il verde dei rami e dei tronchi degli alberi che fanno corona al quadro del Santo: sono centinaia, migliaia di fedeli mandurini, cui si sono aggiunti, man mano lungo la via, gli altri delle citta vicine. Fedeli, confraternite, gonfaloni, alberi che si muovono con le gambe dei devoti rami di ginepro, frasche, leccio, ulivo, palme, accompagnati dalla nenia cantilenante del Rosario sanpietrino

Per strada, sugli alberi, nidi vuoti, tra rami ancora senza foglie, intricati e selvatici, pronti gli uni ad accogliere nuova vita e ri-animarsi, ri-abitati dalla sopravveniente primavera, gli altri a ri-vestirsi di verdi foglie nel miracolo della Madre Terra e del rinnovamento annuale della Natura multicolore che, nonostante le offese procurate dalla sciocca imbecillita umana, sarà ancora prodiga di bellezza, di colori, di sapori. Qui si vedrà la sua tavolozza dipingere, proprio in questi giorni, all’inizio dell’annuale ciclo, facendo risplendere fra l’erba verde che sopravanza, prima il giallo dell’acetosella, dell’umile gaggia, della femminile mimosa, poi l’ocra delle calendule, poi il bianco della rucola e della camomilla, poi il rosso dei papaveri, poi is trionfo dell’azzurro pur nell’arida pianta del timo. Più in là filari di vigna si vanno intanto ri-coprendo del verde manto delle foglie e di incipienti grappoli che fanno capolino, sempre più decisi, tra i nuovi tralci, mentre i maestosi, secolari ulivi che si stagliano all’orizzonte, novelli Titani della Natura, si contorcono al vento con la bicolore pagina delle foglie, intesi a combattere Podium dura lotta contro la mortale Xilella. Muretti a secco, chiazzati dai residui secolari di muschi e licheni, accompagnano, parlanti, gli stanchi passi del fedele viandante e offrono al suo

sguardo la loro pacifica,   differenziata e altalenante altezza: uno spettacolo che racconta anch’esso con le sue chiazze tigrate, grigie e nere che si alternano sempre, i segni del tempo passato nello scorrere dei secoli, la loro rustica nobile vetusta, frutto del duro lavoro ti lu illanu, formicone di Puglia -come avrebbe detto il corregionario altamurano Tommaso Fiore- che con pazienza infinita le ha raccolte, per liberare e rendere più coltivabile e fruttuoso il suo pezzetto di arida terra rossa, utile comunque a sfamare la famiglia, spesso composta da numerosa prole.

Nel frattempo, abbiamo percorso it tragitto propostoci: attraversando le varie Contrade (Dune,  Marina,  Le  Serre,  Guardiole,  Cuturi,  Piacentini,  Masirino,

Campanedda), siamo giunti alla Culonna, sacello votivo prossimo alla Citta. Assisteremo fra non molto, una volta giunti in Piazza della Pieta -dal nome di una Cappelletta ivi ancora esistente- al rinnovarsi del rito coram populo della stipula del Contratto tra il Sindaco di Manduria e il Parroco del Santuario.

E’ questa la residua testimonianza storica di quanto avveniva nei secoli passati,

quando   il Rettore della Chiesa di Bevagna,  uscendo  dal territorio  di  sua   competenza ,

aveva bisogno  di  garantirsi circa  il  ritorno  del  quadro miracoloso del Santo,   dopo   il

periodo  di  permanenza  nella  Collegiata  (di solito otto giorni)  offerto  alla   particolare

latria   dei   mandurini,   che   avranno  venerato    contemporaneamente   anche  le  statue

esposte dell’Immacolate e di san Gregorio Magno.

             Nel contempo non mi esimo, tuttavia,  dal  richiedere  a  me  medesimo, a tutta la

Società   civile  mandurina,  all’amministrazione  pubblica, a tutte le formazioni politiche

e  culturali  della Città,  l’appello  a  rivolgere  a  Parigi, sede dell’UNESCO, la petizione

per  il  riconoscimento,  meritamente,  della  processione  penitenziale  di  Bevagna, bene

culturale immateriale dell’Umanità. Sic est in votis!        

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