Tra ulivi e trulli della campagna salentina

di Michelin Fistetto

Passeggiavo in auto, in un pomeriggio assolato di questa particolare estate, segnata dal Covid 19, con l’affettuoso e stimato Cosimo Demitri (per me, a motivo di comuni affinità elettive, Mimmo!), tra le campagne periferiche della sua Maruggio, nostro Salento

Egli   è apprezzato ricercatore di documenti negli Archivi e, dunque, serio storiografo della sua Città, ma anche testimone di vicende, fatti, avvenimenti del passato, da lui raccolti con passione e pervenutigli da una secolare tradizione, oralmente tramandata dai nostri Padri.

Capita di trovarci   -o conoscendomi, mi ci voile portare a bella posta, con affettata nonchalance?!?- immersi in un territorio magico ai miei occhi e pregno di storia.

Avevamo imboccato la strada che inizia rasentando a sinistra la Cappella rurale del SS.mo Crocifisso (che contiene resti di numerosi affreschi di stile orientale-
bizantineggiante) da lui descritta in un suo studio monografico: essa a ubicata in uno slargo periferico dell’arteria provinciale che mena da Maruggio ad Avetrana.

La via imboccata divenne subito golosa attrattiva ai miei occhi, Museo vivente di quel paesaggio agrario costellato da plurisecolari alberi di ulivo. A destra e sinistra della strada erano distese di quegli alberi a perdita d’occhio, che fotografai nell’immediato alla meno peggio col cellulare, per cui volli subito condividere le immagini con gli amici a me più cari, che conoscevo come persone assai sensibili di fronte a quella grande bellezza fino a quel momento ignota, a me e a loro. Si trattava dell’entusiasmante scoperta di maestosi filari di sculture secolari della Natura, diversificate e differenti l’una dall’altra, diversissime tra loro, uniche ognuna.

In quel momento, reduce come ero al rientro da una visita della campagna -da Lecce fin giù, al Capo di Leuca, dove era palpabile la desolazione e la morte, ovunque omologa, di questi simili giganti-, credetemi, mi venne da piangere Pensavo, infatti, che allo stato attuale potrebbero morire anche questi, attaccati dalla perniciosa Xilella fastidiosa, che ormai nell’intera Puglia, e non solo nel Salento, ha procurato, purtroppo, incalcolabili danni e -per quanto mi riguarda- non solo di natura economica.

Come non rammentare quanto avevo già a suo tempo detto nella Premessa al volume, contributo di Storia patria, da me scritto a più mani insieme con la cara amica, studiosa di Archivistica, Maria Alfonsetti, e prefato da Gerard Delille: I Protocolli dei Notai di Casalnovo nel Cinquecento!

Li avevo individuato (p.32), attraverso una minuziosa ricerca documentaria di tutti gli atti notarili del Cinquecento, rogati a Casalnovo (l’odierna Manduria) e a noi pervenuti, la caratterizzazione paesaggistica del nostro territorio, già in atto in quel lontano secolo:

[La Provincia di Terra d’Otranto]        i Latini la chiamarono Salentum e non solamente 6 la estrema provincia del Regno, ma di tutta l’Italia. Non perciò e l’ultima di qualità essendole concesse dall’arte e dalla natura molte doti. [] il terreno, quantunque sia pieno di sassi, produce olio, zafferano, bambagia e vino in gran copia, e, quel che è più di considerazione, per la gran quantità dell’olio mancando ai paesani i vasi da serbarlo ne empiono i pozzi, it sasso de’ quali 6 di tal natura, che non lo suga. Vi si fa anche it sale, e la regione a tutta abitata, et ha grosse citta …I

Stralcio abbondantemente dal capitolo da me stilato, “Il Cinquecento”, di quel lavoro, quanto mi è qui necessario ed utile, in questo segmento della presente relazione, plagiando … me medesimo!

La dinamica economica del nostro territorio nel periodo preso in esame si snoda tutta, o quasi, nell’ambito agrario: le terre più fertili sono le cosiddette terre fattizze (= coltivabili, a volte non ancora coltivate, ma coltivabili) dette anche

seminative; tra queste poi le migliori sono le cociuline, dette cosi perché terre leggere, che maturano prima i loro prodotti che producono, in particolare, ortaggi saporiti e legumi di facile cottura. Le meno fertili sono le terre tostine (= rocciose, con poca terra) e, peggio le macchiose (= ancora con cespugli e piante varie della macchia mediterranea e, quindi, da “smacchiare” per renderle coltivabili, solitamente impiantando, con lo scavo fatto a gran fatica perfino nella roccia, alberi di fico, ulivo, mandorlo. Se pero gli uliveti sono assai presenti in quel periodo storico, meno lo sono i vigneti. Gli alberi di ulivo, nelle terre oggetto dei documenti notarili, sono it più delle volte numerati singolarmente negli atti, come beni a sé stanti, comunque ben differenziati dagli altri alberi su indicati, dai peri e dai calaprici (= peri selvatici) e perfino da enzitelle e tiermiti piante d’ulivo selvatico, già adulte e pronte per essere innestate).

Nell’ambito della proprietà agraria recintata -o come si diceva nella chiusa parietata- fondamentale era la presenza di un pozzo (= profondo scavo nella roccia con acqua sorgiva), o di una cistern (= modesto scavo intonacato nella roccia, con acqua piovana di raccolta) o di unafoggia o vora (= imbuto naturale del terreno per la confluenza delle acque meteoriche), con la loro raccolta in una puzzedda (= pozzo artificiale ricavato nella profondità della terra, rivestendo lo scavo con un muraglione circolare spessissimo di roccia di pietra viva a secco (pericoloso assai nella costruzione e nella manutenzione, perché poteva franare mentre vi si lavorava, con le

‘ Camillo Porzio, Descrizione del Regno di Napoli (1577-1579), in Opere, a cura di Emesto Pontieri, Napoli, ESI, (Edizioni scientifiche italiane), 1958, p. 42.

atroci conseguenze immaginabili!).

La terra 6 it bene per vivere e talora sopravvivere ma, a seconda dei casi, e pure it bene che arricchisce e mette a prova, anche se dura, le capacità di fatica, l’impegno, la fattività, it lavoro, di imprenditorialità agraria dell’acquirente:

[Risenti ii Cinquecento] della generale ripresa economica. Si dissodarono terre, si impiantarono nuove colture e si perfezionarono le vecchie, si diffusero nuovi tipi di contratti agrari.2

Soprattutto s’impongono le figure di coloro che acquistano o ricevono in enfiteusi terra macchiosa, poi  la “smacchiano, diboscano, spetrano, romateggiano (=concimano con letame stallatico)”, o ancor più, di coloro che comprano suolo roccioso di terra tostina, dove la zappa a gran fatica penetra nella terra, ma impiantano una coltura che sperano possa quasi reggere it confronto di produzione -a distanza sia pure di duri e lunghi anni di lavoro- con la redditività della buona terra seminativa o fattizza o terra ti patuli, dove la zappa squarcia facilmente la terra e si può  addirittura anche  arare (in genere  di  proprietà di  chi  non  la lavorava personalmente: gli Onorabili, i Magnifici, gli Eccellenti e, comunque, le persone notabili!):

Sull’ingrato terreno    […] si è cimentato it contadino pugliese. Spinto dall’impulso della fame, armato soltanto dalla volontà di migliorare le sue condizioni, ha aggredito la terra, plasmandola con it suo lavoro, fecondandola con it suo sudore. A costo di sacrifici indescrivibili, ha trasformato in giardini lande piene di sterpi e di pietre. Ha liberato it terreno dalle pietre superficiali derivanti dallo sgretolamento degli strati calcarei e le ha usate per costruire trulli, per elevare pareti di confine, per arginare l’azione erosiva delle acque, per ammassarli in grossi cumuli deli secchie. A considerare l’immensa quantità di pietre rimosse [] si ha quasi l’impressione di trovarsi di fronte all’opera di giganti. Si tratta invece dell’opera di uomini che, pur destituiti da ogni forma di aiuto, hanno piantato milioni di viti, di mandorli e d’ulivi, coltivando con amorevoli cure terreni che sembravano destinati a un continuo squallore.3

I trulli         queste costruzioni abitative, tipicamente pugliesi, che hanno dato mondiale rinomanza a quel gioiello di umano insediamento che risponde al nome di Alberobello!

Non tutti sanno, pera, che essi pur presenti, anche se di rado, in tutto it Salento, sono vistosamente presenti, e con un sorprendente numero, in quel territorio prossimo a casa nostra, di forma geometrica poligonale che stavamo attraversando. Lo indico perché possa essere visitato e goduto da quei lettori di queste righe nei quali ho suscitato curiosità e interesse, prime molle che motivano l’umana conoscenza.

Tale territorio   6, dunque, delimitato dalla via inizialmente citata, che inizia

2 Gianni Jacovelli, Manduria nel Cinquecento, Galatina, Congedo, 1974, p. 23

3 Francesco Carofiglio, Puglia, Mario Adda Editore, Bari, 1995, p. 14

rasentando la Cappella del Crocifisso di Maruggio. Essa giunge, poi, fino alla bianca (perché le mura son tutte dipinte a calce) Masseria Mavilia -individuabile da subito, anche da lontano, per la maestosa Torre merlata e la Torre colombaia- fiancheggia infine i ruderi delle colonne di un tempio classico annesso a Mavilia, lasciando a sinistra it verde fitto della Pineta Boschetto. Volge, quindi, verso la Masseria Mirante che ha una Chiesa annessa, inspiegabilmente (almeno per me) dedicata alla Vergine di Guadalupe. Percorre quindi un tratto della litoranea salentina verso Campomarino, per congiungersi alla provinciale per Maruggio, sulla quale da una modesta altura, sporge un decoroso tempietto ottocentesco dedicato allo Spirito Santo. Giunge infine

-dopo aver rasentato it Campo sportivo, in contrada Macchitedda, e dove s’incoccia it primo trullo vicinissimo a quella moderna struttura- al punto iniziale, alla periferia di Maruggio da cui si era partiti.

In questa zona sono disseminate numerose costruzioni di pietre a secco, i trulli appunto, truddi in dialetto locale, di diversa epoca e natura, secondo me costruiti dal Medioevo in poi, anche se in gran parte alla fine dell’Ottocento, in seguito alla distribuzione e vendita del latifondo da parte del risorto Stato italiano. Alcuni sono in ottime condizioni, molto tipici ed originali -come quello gemino, in zona Mirante-
con doppia camera e con tholos cosi perfetti, meravigliosi e rari, ammirati da me solo in Grecia, a Micene. Altri purtroppo in abbandono tra le erbacce, altri ancora malamente utilizzati, e altri, addirittura -horribilis dictu- inglobati in recenti costruzioni. E’, questa, la stupida, pazza idiozia, frutto di egoismo, ignoranza e cattiveria che Padre Dante definisce e stigmatizza come “matta bestialità”!

Rilevo, tra gli altri, qualche raro trullo datato, tramite una pietra incastonata nella costruzione. In una zona, in contrada Truni, collocata su una piccola altura invece, unico esempio, ho rinvenuto, una postazione a forma di trullo minimo, una specie di moderna garitta, come per un piantone messo lì a guardia difensiva del territorio, un avamposto la cui visuale scorreva fino al mare onde poter dare l’allarme in caso di possibili scorrerie saracene. Questo trullo e rinforzato da un muro di cinta circolare costruito con pietre a secco, evidente nei ruderi ma quasi del tutto diruto: 6 dotato anche da una specie di anfiteatro rettangolare, posto accanto e scavato nella roccia, utile per la riunione dei Cavalieri. È un reperto medievale sicuramente di origine Templare, perché it simbolo della Croce Templare e incastonato sul fronte del manufatto e simile al reperto ancor oggi visibile a Maruggio, in Via Virgilio 11, su un muro tufaceo grezzo, che ritengo sia parte dei resti del muro di cinta posteriore del cosiddetto Castello, it cui ingresso principale e collocato sull’attuale Piazza centrale della Citta, di fronte alla Torre dell’Orologio-Monumento ai caduti. Per inciso i Templari prima dei Cavalieri di Malta si insediarono a Casalnovo e a Maruggio, come ho di recente dimostrato, per aver rinvenuta notizia certa in un documento fin

qui inedito dell’Archivio di Stato di Napoli.

Qui un muro a secco, lì una volta, ancor più in là una cisterna d’acqua piovana (acquaru), pin oltre un pozzo, e poi … quello straordinario ambiente agrario disseminato di alberi d’ulivo secolari e di trulli, quasi tutti monovano!

Come a dire la Storia raccontata e testimoniata dalla Natura: in qualche scorcio di quell’ambiente agrario riuscivo a rilevare anche -interrogando le pietre che parlano- aspetti antropologici, sociali, del costume, degli usi, persino dell’etica comportamentale dei nostri Padri. Ne cito uno per tutti, a mo’ d’esempio.

Ho incocciato sulla strada che percorrevamo in macchina, un muro di recinzione a T: la linea orizzontale era costituita dal muretto prospiciente alla pubblica via, quella verticale da un muretto divisorio delle due proprietà confinanti. Verosimilmente si arguiva che esse dovevano un tempo aver costituito un solo particolare, per it fatto che all’incrocio dei due muretti a secco vi era un cippo parallelepipediforme alla base, incastonato fra pietre difformi per grandezza e consistenza su cui si intravvedeva ancora, sia pure a malapena, una linea color rosso. Era it chiaro segno di una delimitazione di confine del muretto, insistente in una proprietà privata, su terreno non pertinente alla pubblica via, nella quale ab origine esso era stato costruito con un’altezza bassa, conservata tuttavia nel tempo perché la superficie finale era completata da pietrame di grandezza maggiore, ma simile fra i pezzi posti di traverso, a cannone o di taju o a cappellettu, come suole dirsi: tecnica questa tuttora in use e rilevabile su tutti gli antichi muretti di recinzione. Essa aveva lo scopo di dare maggiore solidità e staticità a un manufatto che aveva l’obiettivo giuridico di delimitare un bene, ma anche gli obiettivi pratici di fronteggiare calure, geli e piogge, arginare la terra eventualmente dilavante e, nel contempo, svolgere una funzione esteticamente accettabile. Poi H terreno incluso era stato diviso e, a tal

fine, si era creato un diverso muro tronco-conico trasversalmente, avente sezione di trapezio isoscele, pin largo alla base e di forma rastremata, terminante con pietrame vario, che evidenziava alla sommità una curvatura centrale. I due lati spioventi indicavano che esso apparteneva a entrambi i proprietari confinanti e che quindi era stato costruito a regola d’arte, secondo gli usi, e di comune accordo, secondo una morale comportamentale accettata in pace da entrambi. A dimostrazione di tutto ciò era rilevabile it rispetto dell’eguale distanza fra gli alberi di ulivo non secolari delle due proprietà dal muro di confine. Invito a riflettere sui termini contrassegnati in grassetto.

Da tutto ciò emerge dunque, facilmente, la laboriosità, la genialità, la tenacia e il legame con la Natura della nostra gente di Puglia, la nostra cultura. Si riscopre l’orgoglio della gente meridionale dimenticata da tutti, mai dal Potere costituito, sempre pero al solo scopo di poterla ancor più e meglio sfruttare. Si valorizza la

dignità di un popolo, estrinsecata ancor oggi dal contadino pugliese con un mutismo lontano dalle chiacchiere e dal cicaleccio, con la sua abitudine ad esprimersi con poche, essenziali parole, e a non chiedere niente a nessuno. Si resta perfino ammirati dalla capacita di quegli uomini di confidare solo nelle proprie forze, sperando nel buon Dio e nella benevolenza della Natura, pur con una certa dose, purtroppo! di rassegnazione e di fatalismo. Dai documenti notarili studiati da me e Maria Alfonsetti, e da questi documenti viventi del territorio che con Mimmo oggi sto ammirando estasiato, si possono cogliere, insomma, elementi fondanti delle nostre radici, che hanno reso questo nostro territorio salentino “uno tra i paesaggi geografici più umanizzati della Terra”.4

AA. VV., Aspetti di geo2rafia umana del territorio pugliese nei secoli XVII-XLV attraverso carte geodetiche.

idrogralchetoor a iche e                                  ai                                                                         di Slaw, Editrice Coop. “Panto

Zero”, Taranto, 1980, p. 5.

BIBLIOGRAFIA

AA. VV., Aspetti di geografia umana del territorio pugliese nei secoli XVII-XIX attraverso carte geodetiche, idrografiche, topografiche e mappe alligate ai rogiti notarili conservati negli Archivi di Stato, Editrice Coop. “Punto Zero”, Taranto, 1980

Maria Alfonsetti-Michelino Fistetto, I Protocolli dei Notai di Casalnovo nel
                                                                       Cinquecento, Barbieri, Manduria, 2003

Francesco Carofiglio, Puglia, Mario Adda Editore, Bari, 1995

Gianni Jacovelli, Manduria nel Cinquecento, Congedo, Galatina, 1974

Camillo Porzio, Descrizione del Regno di Napoli (1577-1579),  in Opere, a cura di
                                    Ernesto Pontieri, ESI, (Edizioni scientifiche italiane), Napoli, 1958

Cosimo Demitri, Il Catasto onciario e le Masserie di Maruggio,  Tiemme, Manduria,
                                    2014

Cosimo Demitri, La Cappella rurale del SS. Crocifisso fra le tante con dediche
                        diverse nel territorio di Maruggio, Biascoprint, Manduria, 2018

N.B. La presente relazione sarà corredata da foto con didascalie.

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